Non posso che condividere le parole dei colleghi genovesi, che come me nutrono grandi preoccupazioni per il futuro, che potrebbe non esserci!
Sono le 2:30 e ancora non riesco a prendere sonno, nonostante ieri sia stato il gran giorno del decreto Cura Italia, dedicato a noi lavoratori del mondo sportivo “dilettantistico”.
La nostra versione del “Click Day” – negli ultimi giorni se n’è sentito talmente parlare che più che a un click day, ci stiamo preparando per un “Indipendence Day”, di cui non si sa bene cosa aspettarci.
Nei giorni di attesa ci siamo procurati una serie di documenti, ma ogni giorno cambiavano modalità e fondi destinati al settore. Il tutto sembra esser stato gestito bene, anche se le richieste, alle ore 14.00 del giorno X sono state innumerevoli, come cavallette affamate durante una delle piaghe d’Egitto, una competizione per arrivare tra i primi che potranno beneficiare del tanto atteso contributo, perché non è definitivamente chiaro se sarà per tutti o se, come si suole dire, “chi prima arriva meglio alloggia”.
Il tutto per ben 600 euro, perché di questo stiamo parlando.
Ma non è solo questo che ci preoccupa: lavoriamo tutto l’anno per uno stipendio a mio avviso non all’altezza delle responsabilità (fisiche, penali, educative), senza nessuna garanzia, né sicurezza per il futuro, senza contributi versati, né malattia, né ferie, né maternità – insomma, se lavori guadagni, se no ti arrangi – spinti da un’enorme passione che ci fa andare avanti, con la speranza che, prima o poi, la nostra professione venga riconosciuta come tale da chi di dovere.
Il nostro lavoro, infatti, non consiste semplicemente nell’insegnare a nuotare, come molti pensano. Dietro si cela molto altro, ma solo noi e chi lo vive può capirlo ed è per questo che nessuno si è mai preoccupato della nostra condizione (senza parlare del fatto che, ogni anno, se vogliamo lavorare dobbiamo obbligatoriamente rinnovare i brevetti in nostro possesso, spesso o sempre di tasca nostra).
Come ha detto qualcuno “è assurdo pensare che insegnare a nuotare sia qualcosa di puramente personale, premiato con ‘l’appagamento della propria passione’, in un paese come il nostro, quasi interamente circondato da acqua”.
Saper nuotare è una cosa fondamentale per la sopravvivenza certo, non tutti possono seguire le nostre orme, diventare grandi campioni o anche solo nuotatori appassionati ed è proprio per questo che ci battiamo con tutte le forze per veder riconosciuto il nostro ruolo (che con gli adolescenti è anche educativo e formativo).
Tutto questo discorso, infatti, non è una lamentela verso i 600 euro di bonus, perché, seppur minimo, è pur sempre un contributo. Ma, passato questo duro periodo, spero e mi auguro che qualcuno si accorga delle condizioni in cui lavoriamo e la Federazione, sotto la guida del Presidente Paolo Barelli sembra aver puntato l’attenzione sul focus e, soprattutto, delle migliaia di richieste arrivate, che non potranno essere esaudite fino in fondo. (Confidiamo in una sua mano d’aiuto per “salvarci”!)
Oppure ancora del fatto che siamo lavoratori seri, ma purtroppo tra i primi a essere stati lasciati a casa per l’emergenza Coronavirus e tra gli ultimi a poter riprendere la nostra attività senza aver avuto nemmeno il “privilegio” di continuare a lavorare da casa.
Chiediamo che la nostra professione sia riconosciuta come tale: in maniera più seria, a livello istituzionale, come lavoro a tutti gli effetti e non più solo e pura passione.
In questo momento siamo tutti a casa, attanagliati da ansie e preoccupazioni, nell’attesa e con il desiderio di poter tornare al lavoro (di cui andiamo estremamente fieri), ma, soprattutto, con la speranza di veder cambiare qualcosa, per un futuro migliore.
Giulia, Federica e gli istruttori dell’Impianto Sportivo di Lago Figoi (GE)