CARBOIDRATI SEMPLICI E COMPLESSI
La conoscenza del termine carboidrati in questi anni, e soprattutto per chi fa sport, è piuttosto noto; in molti sanno che la parola ”carboidrati” è formata da ”carbo” e ”idrati”, la quale indica una categoria di sostanze costituita da carbonio e acqua; qualcuno più curioso sa anche che spesso i carboidrati sono chiamati glucidi (dal greco ”glucos” = dolce); è inoltre noto ai più che rappresentano la fonte principale di energia per il nostro corpo e quindi il carburante dominante per l’attività fisica!
Ciò che spesso confonde è che questa grande categoria di sostanze non viene utilizzata allo stesso modo dal nostro organismo, perciò è necessario suddividerla in due grandi gruppi: CARBOIDRATI SEMPLICI e CARBOIDRATI COMPLESSI.
Al primo gruppo appartengono i monosaccaridi e gli oligosaccaridi, al secondo gruppo i polisaccaridi.
Il termine ”saccaride” deriva dal greco ”zucchero”.
I monosaccaridi sono spesso chiamati zuccheri semplici, costituiti da una singola unità monosaccaridica, il più abbondante e noto è il glucosio (spesso chiamato anche destrosio), ma sono ben noti anche il fruttosio (presente nella frutta) e il galattosio;
I disaccaridi, composti da 2 unità, come saccarosio (comune zucchero da cucina), lattosio (presente nel latte) e maltosio (zucchero della birra, dei cereali e dei germogli) , sono i più abbondanti del gruppo degli oligosaccaridi, i quali sono formati da una catena corta di unità monosaccaridiche, che si trovano nei legumi.
Il gruppo dei carboidrati complessi comprende i polisaccaridi, formati da catene molto lunghe di unità monosaccaridiche, tra i quali ritroviamo il ben noto glicogeno (di origine animale), la cellulosa (di origine vegetale) e l’amido (ad esempio nei cereali e tuberi), la pectina (presente nella frutta).
L’equilibrio tra i vari nutrienti energetici deve essere tale che i carboidrati, fonte energetica primaria e limitante per qualsiasi disciplina sportiva, siano introdotti così da coprire il 55-70% delle calorie totali giornaliere, idealmente suddivise in 10-15% oligosaccaridi e 40-60% polisaccaridi.
La scelta da parte di uno sportivo di assumere carboidrati a rapido assorbimento deve essere indirizzata a particolari situazioni, ad esempio sia durante le sessioni di gara e di allenamento sia come reintegro post-gara/allenamento, per ripristinare le riserve esaurite di zuccheri (glicogeno) di fegato e muscoli senza il pericolo che si trasformino in grasso. Per quanto riguarda i carboidrati complessi invece bisogna orientare l’assunzione prima di una gara o di un allenamento prolungato, al fine di disporre di energia per più lungo tempo.
Questa breve descrizione strutturale è importante per comprendere in che modo il nostro organismo si comporta nei confronti delle due classi di carboidrati.
Per poter essere assorbiti a livello intestinale i carboidrati devono essere ricondotti alla loro forma più elementare, operazione svolta da particolari enzimi del sistema digerente, che quindi nel caso dei carboidrati complessi, separano le unità monosaccaridiche che compongono la catena.
La diversità della struttura dei carboidrati influenza la loro la denominazione, l’appartenenza a una delle due classi e la velocità di assorbimento intestinale (lento / rapido).
Un concetto legato alla velocità di assorbimento intestinale, ormai ben radicato nell’opinione comune di sportivi e non, è che i carboidrati complessi sono assorbiti più lentamente (almeno 30 minuti), rilasciando in modo graduale l’energia, quindi gli zuccheri nel sangue, evitando così i picchi glicemici (aumenti repentini della quantità di glucosio nel sangue) e l’iperinsulinemia (elevata quantità dell’ormone insulina nel sangue), va da se che per i carboidrati semplici (monosaccaridi e oligosaccaridi) sia esattamente l’opposto, in quanto per struttura chimica già elementare, sono rapidamente assorbiti a livello intestinale (circa 5minuti-10 minuti), causando una rapida iperglicemia successiva al pasto. Sono complessi, e perciò più lenti nella digestione, i carboidrati dei legumi, della pasta, del pane o del riso (tutti ricchi di amido). Sono considerati carboidrati semplici e di rapido assorbimento quelli del miele o dello zucchero (saccarosio) con cui dolcifichiamo il caffè, quelli della frutta o delle spremute.
La comunità scientifica, già dagli anni ’80, ha rivalutato i termini di classificazione dei diversi carboidrati, considerando non solo la struttura chimica, ma anche le caratteristiche proprie dell’alimento contenente i carboidrati, ed ha elaborato un nuovo sistema di suddivisione secondo gli effetti che questi hanno sulla glicemia (quantità di glucosio nel sangue). Per questo si è deciso di introdurre il concetto di indice glicemico. L’indice glicemico misura la capacità dell’organismo di metabolizzare un alimento, in altre parole segnala con quale rapidità l’organismo metabolizza un alimento, basato su una scala in cui il glucosio puro ha un valore di 100.
Si pu dire allora che l’indice glicemico misura effettivamente la biodisponibilità di un glucide, che corrisponde alla sua percentuale di assorbimento intestinale.
Gli alimenti con un valore di indice glicemico pari o superiore a 70 sono considerati ad ALTO INDICE GLICEMICO (i cereali e derivati raffinati, lo zucchero saccarosio, i dolci, le bevande zuccherate) vengono digeriti più velocemente, l’organismo produce più insulina, che tra le tante funzioni agisce sul tessuto adiposo, rimuove gli zuccheri dal sangue facendoli entrare nelle cellule; ciò che ne consegue è che l’abbassamento della glicemia crea la sensazione di fame; più la risposta insulinica è alta, maggiore è il rischio di prendere peso (un modo per abbassare l’indice glicemico è aggiungere ad ogni pasto le fibre, che comportano il rallentamento della risposta glicemica dell’organismo).
Gli alimenti con un INDICE BASSO, pari o inferiore a 55 (fruttosio contenuto nella frutta, i legumi, la verdura, i cereali integrali, i latticini) ”bruciano” lentamente, quindi inducono una bassa risposta insulinica e provocano un più duraturo senso di sazietà.
Esistono tante tabelle (più o meno corrette!!!) che elencano gli alimenti e i loro relativi indici glicemici, ma in realtà questo valore varia in relazione ad esempio al processo di raffinazione dell’alimento, tipo di amido, maturazione, contenuto di fibre, grassi, acidi e forma dell’alimento.
Il concetto di indice glicemico per non va considerato come metro assoluto di scelta su quale alimento scegliere, ma piuttosto come guida generale.