TRUE STORIES: Tommaso Panizza, da Venezia al Canada passando dalla Sardegna
Sono bastati poco meno di due anni a Tommaso per entrare nel profondo del cuore di quei piccoli nuotatori esordienti A che gli erano stati affidati insieme alla collega Silvia Carta nella società sarda Promogest. Poco meno di due anni iniziati con molta timidezza, in punta di piedi quasi non volesse intromettersi nel microcosmo sardo alterandone gli equilibri. Sono bastati pochissimi giorni per capire che dietro i suoi evidenti tattuaggi si nasconde un ragazzo diverso, gentile e coraggioso che ha fatto del nuoto la sua ragione di vita e finalmente dopo una lunga gavetta sta coronando il suo sogno, il Canada.
Questa è la TRUE STORY di Tommaso Panizza, che io ho avuto il piacere di conoscere nella mia Sardegna e che ammiro moltissimo per aver dato tanto ai suoi ragazzi sardi e per aver avuto il coraggio di provare.
La mia storia come nuotatore inizia e si sviluppa come quella di centinaia di altre persone che si affacciano a questa disciplina.
Mandato in piscina per seguire le orme di mio fratello maggiore, mi sono trovato a seguire la trafila della scuola nuoto italiana con divertimento e passione; ricordo che da bambino mi piaceva fare qualcosa di diverso rispetto ai miei compagni di scuola che si arrabattavano tra calcio e basket, ma di certo questo non aiutava la mia popolarità dell’epoca. Perché in realtà il nuoto è lo sport degli anti-eroi, che dedicano tutto il loro tempo e le loro energie a questa attività, ma nessuno mai si interessa a loro.
Forse per umiltà, forse per una scarsa consapevolezza delle mie reali potenzialità, alla domanda “Qual è il tuo più grande obiettivo nel nuoto?” io rispondevo “Riuscire a qualificarmi ai Campionati Italiani di Categoria nei 200 delfino”, ossia realizzare il sogno di mio fratello mai concretizzatosi, in quella che era la sua gara preferita. E ripensandoci, queste mie parole avevano un senso, dal momento che avevo iniziato a nuotare per imitare quello che faceva lui.
In realtà la mia carriera da nuotatore, seppur breve, ha raggiunto un livello leggermente superiore alla semplice partecipazione ai Campionati Italiani di Categoria.
In Italia, per motivi economici, era già iniziata l’era delle fusioni tra società, e la Serenissima Nuoto, squadra con un passato di tutto rispetto a livello nazionale, era in quegli anni legata inizialmente Fiorentina Nuoto, e poi alla DDS Milano. A questa fase seguì poi la conseguente triste chiusura, sempre per motivi economici, di molti poli natatori su tutto il territorio, tra cui purtroppo la stessa realtà della Serenissima Nuoto.
Nella mia carriera la svolta arrivò quando la mia squadra, il cui direttore tecnico dell’epoca era nientepopodimeno che Paolo Penso, ingaggiò come capo allenatore Max di Mito, astro nascente del panorama tecnico italiano, che riuscì a darmi la spinta necessaria al raggiungimento di buoni risultati di categoria.
Personalmente ritengo di avere avuto delle esperienze di rilievo; insomma, parliamoci chiaro, nel biennio tra il 2000 e il 2002 ho avuto la fortuna di avere come compagni di squadra nuotatori del calibro di Enrico Catalano, Sebastiano Ranfagni, Niccolò Beni e Federica Pellegrini (solo per citarne qualcuno) e come tecnici Paolo Penso, Max di Mito e Andrea di Nino, conosciuti ora a livello internazionale.
Considerando il livello dei nuotatori di quegli anni (prima partecipazione agli Italiani in finale con Luca Marin), essere riuscito a portare a casa un bronzo nei 200 stile libero nel 2002 per me è stato come una vittoria agli Assoluti.
Nella stagione 2002/03 io entrai in crisi a livello mentale, e il fenomeno Pellegrini, che stava ormai diventando una realtà, non permise alla mia squadra di venire in mio aiuto. Fu così che al termine di quella stagione decisi di ritirarmi, anche per via dello smantellamento del settore agonistico della “mia” Serenissima Nuoto. Ricevetti alcune offerte da altre squadre, tra cui la stessa Fiorentina Nuoto; ma io all’epoca avevo solo 17 anni, e non abbastanza coraggio e testa sulle spalle per intraprendere un’avventura lontano da casa.
Credo che le scelte che presi all’epoca abbiano avuto una grandissima influenza su quelle che poi presi in età adulta.
Iniziai da subito a lavorare come istruttore a Venezia, sempre alla Serenissima che mantenne la sua struttura di scuola nuoto federale e i gruppi agonistici fino alla categoria A. Da qui inizia il percorso della mia lunga gavetta, 8 anni tra scuola nuoto, propaganda e assistenza alle squadre giovanili.
Nel 2011 finalmente presi la decisione che probabilmente avrei dovuto prendere 8 anni prima: lasciai la mia terra per trasferirmi in Sardegna e iniziare da lì la mia carriera come allenatore di una squadra agonistica.
Mi misi in contatto con la Promogest Cagliari del Professor Paolo Pettinau che decise di assumermi e di gettarmi da subito nella mischia della categoria Esordienti A.
A Cagliari, sotto la guida di Nicola Pau e Silvia Carta, ebbi modo di confrontarmi seriamente con quello che presto capii essere senza ombra di dubbio il mio mondo. Fu proprio qui a Cagliari che realizzai che era questo il mestiere che volevo fare nella mia vita, consapevole che eventuali sogni di ricchezza o agiatezza sarebbe rimasti tali.
Però capii una cosa molto più importante, ossia che questo mestiere è in una qualche maniera una forma di “espressione artistica”, dove si ha la possibilità di mostrare se stessi attraverso l’interazione con i propri ragazzi, e ritengo questa una fortuna non da poco.
In Sardegna ho vissuto due stagioni piene di soddisfazioni, riscuotendo approvazioni per quello che facevo e per quello che ero, sia da parte della mia squadra che da parte dei miei ragazzi. E’ per questo che quando ho lasciato quell’ isola nell’ agosto del 2013, l’ho fatto con un velo di lacrime sugli occhi.
Ero consapevole di lasciare dietro di me persone, colleghi e amici fantastici, che mi hanno dato tanto, forse più di quanto io sia stato in grado di dare a loro. Ma stavo per imbarcarmi nella più grande della avventure: stavo per partire ad allenare a Toronto, in Canada.
Il nuoto in Canada è una realtà emergente, ancora in fase embrionale e in continua crescita. Affamati di voglia di maturare ed spiccare, questo paese sta cercando di pescare anche fuori continente per fare crescere la cultura di questo sport (vedi John Atkinson, attuale coach della nazionale canadese, inglese); ed è per questo che dopo avermi conosciuto, la NYAC (North York Aquatic Club) di Toronto ha deciso di darmi la possibilità di dimostrare quanto valevo e di potermi affermare come coach in una realtà nuova e più effervescente di quella italiana.
Mi misi in contatto con questa società più che altro per curiosità; iniziai uno scambio epistolare con l’assistant head-coach che mi disse che loro erano interessati alla possibilità di assumermi, ma volevano conoscermi. Mi presi una settimana da lavoro ed andai a Toronto per andare alla NYAC e fare una sorta di colloquio di lavoro e vedere come lavoravano in Canada. Gli piacqui, e come tornai mi contattarono per dirmi che erano interessati ad assumermi per la stagione successiva. Ed ora eccomi qua.
La mia prima stagione qui a Toronto è iniziata in sordina ma non sotto tono. Complice la reciproca necessità di conoscersi e farsi conoscere, mi sto dividendo come assistant coach tra più gruppi all’interno del club, dalla squadra National ai più giovani nuotatori della National Development. Sto avendo la possibilità di lavorare fianco a fianco all’ head Coach Murray Drudge, alla sua 19° stagione a capo di questa società e in più di qualche occasione tecnico della nazionale di nuoto canadese, e questo mi sta permettendo di imparare moltissimo. Lavorare con diversi gruppi invece mi sta permettendo di confrontarmi con le realtà di ragazzi di diverse età, e vedere così le differenze tra loro e i loro coetanei miei connazionali. E le differenze ci sono, e sono il risultato di un sistema che premia i risultati e di una cultura che promuove il sacrificio delle giovani generazioni per un migliore futuro.
Nel concreto, un nuotatore di livello nazionale può ambire ad una “scolarship”, ossia una sorta di invito da parte di un college americano, più o meno rinomato, per nuotare e studiare presso di loro, con una conseguente riduzione delle tasse universitarie, fino ad un massimo del 100%.
Quindi è insito in questa cultura l’ambire a dei risultati nello sport, non solo per lo sport stesso ma per il proprio futuro; ma d’altro canto questo sistema non funzionerebbe se le squadre in canada non fossero favorevoli a lasciare andare i propri ragazzi oltre confine per dare loro la possibilità di diventare quello che desiderano.
Quindi mi sono trovato a vivere una realtà purtroppo (o per fortuna) ben diversa dalla nostra, dove il sacrificio, l’educazione e il rispetto delle regole sono un qualcosa di “fisiologico”. Ma nemmeno questo mi sorprende, trattandosi questa di una società meritocratica che premia la sostanza e non si cura dell’apparenza entro i limiti del buonsenso.
La mia squadra era stata chiara con me prima di iniziare la stagione: “Tu non ti preoccupare di niente: sei sei bravo e in gamba, lavori sodo e ti impegni sarai trattato di conseguenza”. E sono stati di parola.
Forse sono stato fortunato. Mi avevano sempre parlato dei nordamericani come persone fredde, distaccate e diffidenti, in parte questo è vero. Però quello che io ho trovato qui è del tutto diverso, il principio è: noi ti diamo una possibilità, se ci deludi è finita. Giustissimo, però questa possibilità vale tantissimo.
E’ difficile fare un confronto tra il livello del nuoto tra l’Italia e il Canada; nel nostro paese tutto parte da una scuola nuoto che porta gli atleti sin da piccoli a seguire un percorso predefinito che li conduce all’ agonismo, nella speranza che tra loro si nasconda qualche fenomeno. Qui tutto sembra fatto più “alla buona”; non esiste una scuola nuoto strutturata, e le selezioni di inizio stagione vengono fatte tramite dei try-out, dove le società selezionano i nuotatori di varie età che vogliono intraprendere questa avventura.
Al di là di tutte queste osservazioni, una cosa che qui non manca in assoluto è l’entusiasmo, di matrice senza dubbio americana. E’ un fattore percepibile sempre, c’è grande coinvolgimento da parte di tutti ed è una cosa che aiuta parecchio sia allenatori che atleti.
Ovviamente credo sia presto per dire se questa potrà essere la mia destinazione per la vita; sicuramente la strada è quella giusta.
Non sono assolutamente pentito della scelta che ho fatto, anzi. Onestamente qui si sta dimostrando meglio di quanto mi fossi potuto aspettare, e nonostante la mia umiltà, mi sento di dire che un pochino è anche merito mio.
Un po’ mi manca la mia terra, guardo all’ Italia sempre con un po’ di nostalgia, ma sono convinto di aver fatto la scelta giusta per il mio futuro.
Proprio l’altro giorno mi hanno chiesto quale sarebbe il mio sogno a livello lavorativo, e io sorridendo, ho risposto che il mio sogno sarebbe fare l’head coach nella mia prima squadra, la Serenissima Nuoto, ma in una realtà del nuoto come quella canadese. Un’utopia insomma.
Ma i sogni, si sa, sono duri a morire. Chi vivrà vedrà, io intanto continuo la mia avventura qui.
Tommaso Panizza