Fino agli settanta del secolo scorso, gli Amateurs erano i bravi.
Non è che fossero davvero i bravi, e gli altri i cattivi, era che l’idea che si facesse qualcosa per passione era una cosa che piaceva. Magari non si faceva proprio per passione (o solo), c’era anche il potere, il narcisismo, il dominio, le donne e i soldi…
Ma era più bello poter pensare che potesse non essere così, e lo sport si raccontava solo in quel modo (e si pagavano gli atleti di nascosto). L’idea degli amatori era ciò che restava della cavalleria.
Un’altra idea in via di estinzione: che non si dovesse combattere per stuprare e razziare, cosa che ha sempre spinto gli uomini a fare la guerra, così come si fa, ma che ci fosse la possibilità di farla per proteggere, difendere, onorare qualcosa o qualcuno, astenendosi dal peggio di sé.
Negli anni successivi gli Amateurs sono diventati pian piano i fratellini minori, fino ad essere ignorati dai sistemi o confusi con qualcun altro (ricreazione e turismo). Persino l’Olimpiade, la massima espressione sportiva dell’idealismo, non ha saputo resistere al fatto che soldi e potere (e magari donne) in fondo sono l’unico desiderio dell’uomo, e non sono neanche male, rinunciando alla possibilità di mantenere la sua rappresentazione.
Marx batte Platone 1 a 0.