Chiamatela solamente IA! La sua storia, o riflessione, è qualcosa che va letto con attenzione, in silenzio e senza presunzioni, anche nella penombra della vostra stanza mentre siete senza pensieri, è bellissima!
Ho nuotato per un’intera vita, ho amato così tanto farlo che alla fine penso sia stato il nuoto a comporre le tessere della mia intera esistenza.
La piscina è stata come un componente in più della mia famiglia: culla della mia infanzia, amica amata e odiata fortemente durante l’adolescenza e porto sicuro, ora che a 37 anni, ho iniziato a tirare le fila di una relazione che mi rendo conto essere la più duratura della mia esistenza.
Attorno a quel rettangolo azzurro ho costruito le mie prime amicizie, tessuto le fila del primo amore e di tutti quei rapporti che ora sono semplicemente, in una parola, Famiglia.
Mi accingevo ad entrare alle elementari quando per una serie di coincidenze fortuite, che poi diventano i bivi più importanti a ripercorrerli ora, scelsi di iniziare a nuotare. Ricordo che non scelsi solo quale sport avrei fatto, scelsi anche accuratamente in quale piscina sarei voluta andare, tra le opzioni che miei genitori mi offrirono. Con una decisione e una fermezza che io, bambina di 6 anni, mostravo forse per la prima volta, feci la prima scelta più importante e più segnante della mia vita.
Fu amore da subito e nuotare diventò per me spensieratezza, sacrificio, speranza e tenacia. Nuotare mi diede modo di esprimermi lì dove non riuscivo, mi regalò uno spazio per riflettere, per sentirmi me stessa senza vergogna, per urlare quando avevo bisogno che nessuno mi sentisse. Fu anche delusione, rassegnazione e separazione per poi tornare ad essere orgoglio e voglia di superare i miei limiti.
Non divenni mai una campionessa da Olimpiadi come avrebbero voluto i miei genitori ma sono certa che il nuoto abbia contribuito a costruire la persona che sono, attaccandosi per sempre alla mia pelle come l’odore del cloro dopo ore di allenamento.
Non ho mai smesso di nuotare davvero. Successe solo per qualche mese, a 17 anni, quando pensai che il sacrificio fosse troppo rispetto ai frutti che raccoglievo. Fortunatamente fui in grado di riprendermi quasi subito da quel momento di autolesionismo adolescenziale e di continuare, complici le amicizie giuste e l’aria di cambiamento che tirava, a seguire quella linea blu sul fondo.
È arrivata però poi l’età “adulta”, quella dove, chissà perché, uno si convince di dover dare una svolta responsabile alla propria vita e di prendere un altro di quei bivi che ti cambieranno “certamente in meglio”, pensai.
Effetto collaterale della scelta: allontanarmi per la prima volta in modo sostanziale dall’acqua.
Dovevo dimenticarmi di nuotare con una squadra, dimenticarmi l’unione e la grinta che questo mi regalava, dimenticare le abitudini che solo a volte mi erano sembrate noiose ma alle quali prima non avrei mai rinunciato. Dovevo dimenticarmi un mondo che fino a quel momento era stato la mia principale fonte di allegria e orgoglio, emozione e paura, semplicemente, vita. Ma l’avevo scelto io e così era giusto che andasse, ne avevo bisogno e sono anche certa che tornando indietro lo rifarei.
Sono trascorsi alcuni anni, felici nonostante la lontananza, in cui ogni volta che impellente si faceva strada il desiderio, tornavo subito in una piscina a riossigenare il cervello, a urlare senza essere sentita, a rinascere dall’acqua a fine allenamento come fosse la prima volta.
Sono però arrivati anche gli anni bui dove la mia vita era solo lavoro, dove ho permesso che la mia felicità dovesse stare relegata nei ritagli di tempo e non più permeare ogni momento.
E così ho deciso di mettere un punto a questa situazione, lasciare un lavoro che mi aveva permesso di realizzare tanti bei progetti e sogni nascosti ma che non mi stava più facendo avere il tempo di vivere, solo di sopravvivere.
In aggiunta poi all’improvviso si susseguirono degli eventi che mi fecero capire quanto una frase letta pochi mesi prima e rimasta lì scolpita nella memoria, fosse vera:
“Ognuno di noi ha due vite. La seconda comincia quando scopriamo di averne una sola.”
E così realizzai che, non solo dovevo, ma avevo il lusso di poter lasciare tutto: lavoro, casa, città, paese. Non senza ansie, certo, ma potevo e volevo, quindi dovevo.
Per cosa? Per vivere un sogno da bambina.
Accadde quindi che quell’acqua che mi aveva sostenuta e “costruita” fino alla mia essenza più profonda, decise a quel punto di salvarmi.
Oggi vivo e lavoro in un paese straniero, lontano dalla mia famiglia, dal mio amore, ma “a casa”.
Eccomi infatti ancora in una piscina, dove l’acqua è la mia confidente più stretta e io sono di nuovo padrona della mia vita.
Per quanto starò qui? Chi lo sa..scorrerà il tempo e so che ascolterò il suo fluire per andare sempre e solo lì dove vorrò andare.
Libera, come l’acqua, come in acqua.
IA
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